Un amore di nome Steve

Oggi mi sono innamorata, di nuovo. Un Amore con la A maiuscola, un Amore che solo quella cosa li riesce a darmi. Mi ero già innamorata in passato. Alcuni amori sono svaniti nel tempo, altri rimangono imperituri nel mio cuore e vengono costantemente nutriti con il sacro fuoco della passione. Ma oggi, il mio cuore ha prima mancato un battito, poi ha avuto un sussulto. Di nuovo ha perso un battito. Mi sono sentita quasi soffocare, il cuore incastrato in gola, tra le tonsille (che dovrei decidermi a togliere).

Steve, il suo nome.

Sebbene l’enorme differenza di età e la probabile incomprensione legata alla lingua (è nato il 24 febbraio del 1950 a Philadelphia), questo è VERO AMORE. Avevo già avuto occasione di conoscerlo quando studiavo a Roma ma, complici le mie passioni per altre tipologie di connessioni amorose e la mia spavalderia giovanile, Steve era finito nel dimenticatoio, in fondo a un cassetto, insieme al mio 25 dell’esame di fotografia. Come si suol dire, occhio non vede cuore non duole. Se non fosse che il destino, quel gran bastardo del destino, ci veda lungo. E trova sempre il modo per far si che tutto vada a compimento. Così, dopo otto anni da quel fatidico giorno, il destino ha fatto si che io incontrassi l’Amore. Io e Steve siamo profondamente diversi: lui è un genio della fotografia, io una poveraccia che fa foto ai fiori e ai cani con il telefonino; lui ha girato il mondo – il suo primo viaggio nel profondo Afghanistan, vestito di abito locali, con sé solo un coltellino svizzero e tantissima voglia di vivere – il mio viaggio più lungo (di sola andata) è stato in Piemonte; lui è avvolto dalla passione e dall’empatia per il mondo e l’umanità, io auguro le peggiori piaghe d’Egitto a chi mi taglia la strada in tangenziale; lui ha conosciuto persone, occhi verdi, cuori impavidi, io al massimo sopporto il mio gatto.

Insomma, io e Steve siamo profondamente diversi ma una cosa, importantissima, ci accomuna: l’Amore per la fotografia.

Mentre lui è protagonista e regista della storia e ferma istanti di vita su pellicola, io mi limito a osservarla da spettatrice, neanche in prima fila. Testimone della nascita di questo Amore la mia amica Anda che, in fondo in fondo, secondo me pure lei un pò si è innamorata. E come potrebbe essere altrimenti? Come si può resistere a questi immensi occhi azzurri, i baffetti da sparviero e la pelata luminosa?

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Irradia voglia di vivere, di sognare, di viaggiare. Di farsi prendere per mano e lasciarsi guidare attraverso i continenti, danzando tra le dune, svicolando fra i cammelli, lasciandosi avvolgere dall’umanità, dalla loro voglia di vivere. Lasciandosi alla spalle, ma portandosi appresso, la distruzione e la devastazione della natura e dell’uomo. Soprattutto dell’uomo. Quello che lui ama tanto ritrarre, nelle sue mille fotografie dai mille sorrisi e dai mille dolori. Danzare tra le culture, tra i colori, tra le usanze, aspirando e respirando a piene narici il profumo delle spezie, l’odore di sterco e la puzza di petrolio e di macerie. Sempre mantenendo il sorriso, la gioia di scoprire, la voglia di conoscere.

Due cose sono fondamentali nella vita: essere aperti e pronti, dice sempre Steve

Al cambiamento, agli imprevisti. Alla VITA. Senza mai esitare. Lasciando la paura da parte. Così nascono le migliori esperienze, i migliori momenti, le migliori fotografie. Così Steve mi fa sognare, tra oltre 250 fotografie scattate in trent’anni della sua carriera ( ve l’ho detto, no, che è un fotografo?), il tempo si ferma e ci siamo solo io, lui e la sua Arte. In mostra alla reggia di Venaria. Sino al 16 ottobre. Andateci. Innamoratevi anche voi di Steve. Lasciatevi avvolgere dalla sua fotografia e lasciate che la vostra anima bruci con il sacro fuoco della passione.

Verso le stelle.

“Mentre la mano indica,

la luce focalizza,

nella gravitazione universale si interferisce,

la terra si orienta,

le stelle si avvicinano di una spanna in più…”

(Giovanni Anselmo)

Due anni che non mettevo piede in un museo. Due fottutissimi lunghi anni. Ogni giorno c’era un problema: la bolletta da pagare, l’abbonamento musei scaduto, una casa da cercare, un lavoro da trovare. E nel frattempo i giorni sono passati. E sono diventati anni. E Chagall poteva tranquillamente essere una marca di cioccolatini. Pralinati, per l’esattezza. Buoni! E il periodo blu di Picasso poteva benissimo essere un momento “particolare” nella vita dell’uomo: a metà strada tra la prima polluzione notturna e la crisi di mezz’età.  Invece oggi, spinta da una mano – che pò esse fero o po esse piuma– di gentil ferro, ho attraversato mezza provincia. Direzione Castello di Rivoli. Non ero ancora nata quando al suo interno fu allestito, e inaugurato, il museo d’arte contemporanea d’Europa. Era il lontano 1984. E l’arte veniva apprezzata molto più di adesso. Oggi siamo talmente saturi di stimoli da non riuscire a vedere al di la dei nostri tablet. O dei nostri 32″. Invece li, mentre salivo la scalinata, contando mentalmente gli scalini, uno dopo l’altro mi sono ritrovata all’interno di un grembo materno fatto di colori, di gioia, di idee, di luce e di suoni.

Il grembo di Madre Arte che mi ha fatto piangere, mi ha fatto sudare, mi ha fatto ridere, mi ha fatto sognare. Mi ha fatto desiderare di essere una persona migliore. Una donna migliore. Un’artista migliore. Non che ci voglia tanto, dopo due anni di inattività. Ho già detto che sono due anni che non entro in un museo? Sono anche due anni che non dipingo. Ma questa è un altra storia.

Non conoscevo l’artista che esponeva nella  “manica lunga”: Giovanni Anselmo. Autodidatta e scultore. Giovanni ha allestito questa mostra personalmente. Ah già, è vivo. Quante volte capita nella vita di vedere delle mostre di artisti ancora in attività? Si da sempre per scontato che un artista diventa GRANDE dopo la sua dipartita, alla maniera di Van Gogh. Invece no. Ci sono persone, Artisti con la A maiuscola, in grassetto e sottolineata, che hanno la fortuna , o il talento, o l’audacia di vivere della loro arte e per la loro arte.

Giovanni Anselmo è uno di questi. E ci offre un’installazione in cui lo spettatore non è solo colui che guarda ma colui che partecipa. E che interagisce con l’opera. Lungo i 147 metri della manica lunga, Giovanni AnselmoGiovanni ci prende per mano e ci guida attraverso le stelle, attraverso il sole e la luce. E in questa luce lo spettatore vive l’opera di questo grande artista. Che mi ha fatto di nuovo battere il cuore. Che mi ha fatto diventare PARTICOLARE.